intuitionandfeeling

Wednesday, November 22, 2006

(...) Mi pareva, santo Dio, di avervelo dimostrato! Conosco Tizio. Secondo la conoscenza che ho, gli do una realtà: per me. Ma Tizio lo conoscete anche voi, e certo quello che conoscete non è quello stesso che conosco io, perché ciascuno di noi lo conosce a suo modo e gli da a suo modo una realtà. Ora, anche per sé stesso Tizio ha tante realtà per quanti di noi conosce, perché in un modo si conosce con me e in un altro con voi e con un terzo, con un quarto e via dicendo. Il che vuol dire che Tizio è realmente uno con me, uno con voi, un altro con un terzo, un altro con un quarto e via dicendo, pur avendo l'illusione anche lui, anzi lui specialmente, d'esser uno per tutti. Il guajo è questo; o lo scherzo, se vi piace meglio chiamarlo così. Compiamo un atto. Crediamo in buona fede d'esser tutti in quell'atto. Ci accorgiamo purtroppo che non è così, e che l'atto è invece sempre solamente dell'uno dei tanti che possiamo essere, quando per un caso sciaguratissimo, all'improvviso vi restiamo come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell'atto, e che dunque un'atroce ingiustizia giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi a esso, alla gogna, per un'intera esistenza, come se questa fosse tutta assommata in quell'atto solo. -Ma io sono anche questo, e quest'altro, e poi quest'altro!- ci mettiamo a gridare. Tanti, eh già. Tanti ch'erano fuori dall'atto di quell'uno, e che non avevano nulla o ben poco da vedere con esso. Non solo, ma quell'uno stesso, cioè quella realtà che in un momento ci siamo data e che in quel momento ha compiuto quell'atto, spesso poco dopo è sparito del tutto; tanto che il ricordo dell'atto resta in noi, se pure resta, come un sogno angoscioso, inesplicabile. Un altro, dieci altri, tutti quegli altri che noi siamo o possiamo essere, sorgono a uno a uno a domandarci come abbiamo potuto far questo; e non ce lo sappiamo spiegare. (...)
>from "Uno nessuno centomila", by Luigi Pirandello<

Thursday, November 09, 2006

„Der Panther“
Sein Blick ist vom Vorübergehn der Stäbe / so müd geworden, dass er nichts mehr hält. / Ihm ist, als ob es tausend Stäbe gäbe / und hinter tausend Stäben keine Welt. /// Der weiche Gang geschmeidig starker Schritte, / der sich im allerkleinsten Kreise dreht, / ist wie ein Tanz von Kraft um eine Mitte, / in der betäubt ein groβer Wille steht. /// Nur manchmal schiebt der Vorhang der Pupille / sich lautlos auf. Dann geht ein Bild hinein, / geht durch der Glieder angespannte Stille / und hört im Herzen auf zu sein.
>Rainer Maria Rilke, Im Jardin des Plantes, Paris, 06/11/1902<

I hear something inside. A voice, a violent vortex, the wind, the rain, the roaring of a wild panther; I shiver; I burn; I am the whole, the whole is me. It's inside me. I want to set free this animal, I suffer, I can't stand this cage anymore.

Saturday, November 04, 2006












-Antoine Wiertz "decapitated head", 1855
-Photo by me: museum of torture,
Siena, Italy, october 2006
-Antoine Wiertz: "Last thoughts and visions of a decapitated head", 1853

>I sometimes asked myself, what passes throught one's mind in front of death?<

[…] L’ignoranza e l’orrore che gli ispirava quel nuovo che lui sarebbe diventato tra qualche istante erano terribili, ma lui diceva che nulla gli era stato più tormentoso in quegli istanti che il pensare continuamente a una stessa cosa “oh se non si potesse morire! Se mi restituissero la vita, che infinità si aprirebbe davanti a me! E tutto, tutto sarebbe mio! Se solo ciò fosse possibile, di ogni minuto io farei un secolo intero, non perderei un solo istante, calcolerei accuratamente ogni minuto di vita e non ne sprecherei nemmeno un attimo!”. Diceva che quel pensiero lo aveva talmente riempito di rabbia che alla fine desiderava soltanto che lo fucilassero al più presto. […]

[…] E’ strano, ma solo di rado capita che in quegli istanti il condannato perda i sensi! Al contrario, il cervello deve essere estremamente vivo e attivo e deve lavorare con tutta l’intensità e la forza di una macchina in moto; mi immagino chissà quanti e quali pensieri gli saranno venuti in mente, tutti probabilmente incompiuti, fuori posto e forse anche ridicoli, come: “ quello lì che mi gurda ha una verruca sulla fronte; la giubba del boia ha uno dei bottoni in basso arrugginito”, e nel frattempo ti rendi conto e ti ricordi di tutto, e soprattutto c’è un punto che non si deve assolutamente dimenticare, e non si può svenire, e tutto, tutto gira e rotea intorno a quel punto. E pensare che tutto si svolge esattamente così fino all’ultimo quarto di secondo, quando il capo ormai giace sull’asse, e aspetta, e….sa, e a un tratto sente lo stridere del ferro che scivola sopra di lui! E quel fruscìo lo sente immancabilmente! Anch’io, se mi trovassi là disteso lo vorrei indubbiamente sentire! Lo senti forse solo per un decimo di secondo, ma senza dubbio lo senti! E pensate che si discute ancora sul fatto che, forse, quando la testa viene staccata dal busto, forse ancora per un secondo è cosciente e sa di essere stata troncata….che idea spaventosa! E se ne avesse coscienza ancora per cinque secondi…![…]”

From "Idiot" by Fiodor Michaijlovic Dostoevskij